Autosufficienza, permacultura e bioregionalismo
Sul blog “Carpi in transizione” ho avuto modo di leggere la traduzione dell’ ottimo articolo di Toby Hemenway: Il mito dell’autosufficienza. Alla lettura di questo articolo sono seguite alcune peregrine riflessioni, non tanto sull’articolo in se ma sul nostro percorso di vita degli ultimi anni. Da questo, gli improbabili lettori del blog possono allegramente dedurre che il mese di agosto è molto propizio al cazzeggio e alle divagazioni geronto-neurali.
L’autosufficienza non è un mito, casomai è stata ed è una tensione etica, un traguardo chimerico, un poco come l’utopia che ciascuno insegue ed è sempre un passo avanti a noi. L’esodo verso i luoghi abbandonati dal moderno, iniziato sul finire degli anni 70′, e che aveva dato vita alle prime comunità rurali degli Elfi, degli Zappatori senza padrone, del Monte Peglia … aveva come fine proprio l’autosufficienza e il rifiuto, il distacco dalla società civile. In tutti quei luoghi si trovava il libro di John Seymour “Per una vita migliore ovvero il libro dell’autosufficienza”, che era uno dei pochissimi testi di riferimento per quella generazione . Per tutti gli anni 80′-90′ una moltitudine di singoli, coppie, gruppi hanno intrapreso quei sentieri per cercare una alternativa al moderno. Poi è comparsa la Decrescita di Serge Latouche che ha dato costrutto filosofico e politico ad un vero e proprio movimento di utopia concreta, poi sono arrivate le Transition Towns e un forte interesse per le pratiche della Permacultura: sia la Transizione che la Permacultura richiedono un grosso lavoro di progettazione e pratica collettiva, non sono sentieri individuali per “allontanarsi” dallo spirito di questo tempo ma progetti di cambiamento collettivo. Sono ad ogni modo teorie e pratiche condivise, per ora, da un numero esiguo di persone (almeno nel nostro paese)
Nel rapporto empatico tra individui, collettività e territorio l’Ecologia Profonda e il Bioregionalismo ci insegnano che Ri-abitare il mondo in cui viviamo significa andare oltre i ‘confini’ che abbiamo tracciato, significa conoscere l’intreccio di relazioni che lega le nostre vite con l’ambiente che ci circonda. Significa pensare a noi stessi come parte interdipendente del mondo naturale, e, forse ancora più importante, sviluppare un senso del posto che sappia andare oltre il dogma dell’uomo signore e padrone del creato, e allargare invece il senso di comunità con tutti i viventi: umani e non-umani che siano.
Ancora oggi l’autosufficienza è un percorso graduale che ciascuno può intraprendere quale che sia il luogo dove si vive, è l’inizio di un distacco che consente la riappropriazione di memorie, saperi e manualità perdute o dimenticate, ma è una meta che non è raggiungibile. Noi siamo legati all’utopica ricerca di una parziale autosufficienza, alla semplicità volontaria e alla diminuzione del tempo di lavoro necessario per vivere con una visione di vita improntata all’Ecologia Profonda e al Bioregionalismo, per la Transizione e la Permacultura, visti gli anni che teniamo … ci tocca aspettare il prossimo giro di valzer.